Cari bookworms,
ormai come ogni domenica, eccoci giunti al consueto appuntamento con Spotlight on ... la rubrica dedicata agli autori emergenti.
Oggi vorrei presentarvi un nuovo romanzo d'esordio intitolato Failure to Queen di Irene Colabianchi, primo volume della serie fantasy-romance YA Boogeyman saga. L'autrice è giovanissima (è nata a Roma nel 1999) e per scrivere la serie si è ispirata al gioco degli scacchi, che adora.
Di seguito alle informazioni sul romanzo, ho inserito anche un estratto del romanzo e il Booktrailer.
Informazioni e Trama
Titolo: Failure to Queen
Autrice: Irene Colabianchi
Serie: Boogeyman Saga #1
Genere: Fantasy Romance (YA)
Prezzo ebook: 2,99 €
Prossimamente in cartaceo
360 pagine
In tutti gli store online dal 27 giugno 2015
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TRAMA: Crystal Young ha sedici anni e vive con il padre in una cittadina del Vermont, sulle rive di un lago. Vive una vita ordinaria, tra amici e scuola. Finirà per dover affrontare diverse insidie, quando in città arriva Elliott Davis e i suoi amici. Sono ragazzi scontrosi, misteriosi ed estremamente affascinanti.Crystal dovrà andare alla ricerca di spiegazioni per scoprire cosa sta succedendo e perché d'improvviso avvengono fatti inspiegabili: il padre rischia di morire diverse volte e qualcuno sembra proprio avercela con lui e la figlia, gli stessi Davis sono strani e lei si ritrova ad avere a che fare con l'arrogante Elliott. Sono entrambi presi l'uno dall'altra senza neanche rendersene conto, ma, come dice il detto, niente è come sembra e quando Crystal avrà la risposta a tutte queste stranezze, dovrà fare delle scelte e imparare a conoscere il mondo della Scacchiera Nera, dove i componenti del gioco degli scacchi sono creature dall'aspetto umano e l'anima d'ombra, che fanno riferimento all'Uomo Nero.La Scacchiera Nera svelerà i suoi segreti... Sarete pronti ad incontrare l’Uomo Nero?
[Estratto da Failure to Queen (Boogeyman Saga #1) di Irene Colabianchi]
Elliott
si siede al mio fianco, sull’altra poltrona, e fissa la preside, senza degnarmi
neanche di un saluto. Ed io dovrei passare l’intero pomeriggio con lui a
ridipingere il laboratorio di chimica e pulire i tavoli, perché degli aspiranti
scienziati devono sporcare l’aula ogni giorno.
A
rifletterci… Questi lavori vengono sempre svolti il venerdì e oggi… È
venerdì! Bene, sono fregata.
Amy
gli sorride, poi mi guarda severa. “Mi fido di lei, signorina Young”.
Annuisco,
scoraggiata. “Conti pure su di me” mormoro annoiata.
Amy
mi dà le chiavi dei laboratori di chimica e, con l’entusiasmo di un bradipo,
esco dall’ufficio seguita dal dio della bellezza alle mie spalle. “Non capirò
mai perché diavolo sei finito qui, proprio in questa scuola” borbotto
giocherellando con le chiavi.
Mi
appoggia una mano sulla spalla ed io mi divincolo, presa da un’improvvisa e,
straordinariamente, piacevole scossa. “Non mi toccare”.
Alza
un sopracciglio, la solita espressione dura. “Qui le regole sono molto rigide”.
Penso
che tra poco gli conficcherò una delle chiavi nella coscia. “Non l’avevo
capito”.
Riprendo
a camminare, perché se non lo guardo, forse, la tentazione di fargli del male
scompare e del tutto, spero. I corridoi sono vuoti e regna un silenzio
spaventoso, accompagnato dallo stridio delle scarpe eleganti di Elliott e i
miei stivaletti.
Devo
cercare di recuperare la calma e il mio autocontrollo. E soprattutto devo
lasciar scivolare via tutte le cavolate che dirà nell’arco di queste ore che
passeremo insieme.
Se
fosse per me, l’avrei già cacciato fuori da questa scuola a calci, ma a quanto
pare in questo liceo, Elliott e famiglia, piacciono a tutti.
Morgan
mi ha riferito che Grace è davvero una ragazza simpatica e anche molto gentile.
Quando me l’ha raccontato, le volevo ridere in faccia, ma ho visto con che
serietà me l’ha detto e quindi ho iniziato a valutare l’idea di averla
giudicata con troppa superficialità.
Sinceramente,
a me Grace mette i brividi. JP mi fa venir voglia di scappare da questa scuola
e Elliott di ucciderlo, una possibilità alquanto legittima, se oggi mi fa
perdere di nuovo la pazienza.
Scendiamo
al piano di sotto, percorrendo in silenzio il corridoio ed arrivando alle aule
di chimica. Apro la porta della prima, l’aula numero trenta. “Puoi anche
rimanere fuori” dico ad Elliott, poggiando la borsa su una delle sedie e osservando
attentamente la stanza, per verificare il lavoro che devo fare.
Si
issa su uno dei tavoli, le gambe penzoloni e la schiena perfettamente dritta.
Mi osserva attentamente, scavandomi l’anima e sento i suoi occhi toccare il
fondo di quest’ultima, che come un rimbalzo mi percuotono. “Cosa c’è da
guardare?”
Sorride
e per un attimo penso voglia chiedermi scusa per il suo comportamento nei miei
confronti. “Tu. È divertente provocarti”.
“Sì,
uno dei migliori passatempi del secolo” dico acida.
Ridacchia
schernendomi. “Potrebbe…”
Apro
e chiudo velocemente i pugni, attirando a me tutto l’autocontrollo che mi
rimane, cioè praticamente zero. “Io… Ma fai così con tutte le ragazze?”
“Dovresti
sapere che la gentilezza non è una mia priorità, quindi direi che puoi risponderti
anche da sola” ribatte, il tono freddo e asciutto, senza alcuna emozione.
“Mio
Dio. E ti parlo pure” sbotto dandomi della stupida, quindi raggiungo il
ripostiglio, dove ci sono una serie di strumenti scientifici e degli scatoloni,
in cui sono riposti i barattoli di vernice bianca e i rulli.
“Be’,
è quasi impossibile resistermi”.
Alzo
gli occhi al cielo e tiro fuori gli scatoloni. “Certo, come no. E le altre cosa
dicono del tuo ‘scusate, la gentilezza non è una mia priorità’?” domando
rifacendogli il verso.
Scrolla
le spalle. “Piace”.
Corrugo
la fronte e mi volto verso di lui, cercando di capire se sta facendo sul serio
o se mi sta di nuovo prendendo in giro. “Come no…”
Annuisce
e salta giù dal tavolo, con l’eleganza di un felino, quindi mi si avvicina,
mantenendo il contatto visivo. “Più sei bastardo, più le donne ti vengono
dietro”.
Deglutisco,
ritrovandomi prigioniera dei suoi occhi e del suo sorrisetto beffardo. Un
battito di ciglia mi tradisce e lo sguardo che ho cercato di tenere per tutto
il tempo, si abbassa, mostrando la mia debolezza. “Peccato, sei solo un
bastardo per me” dico risoluta, alzando gli occhi e facendo un sorrisetto
furbo. “Una in meno, Elliott”.
Si
gratta il mento, come se stesse facendo una riflessione molto saggia e
valutasse la mia risposta da vari punti di vista. “Be’, l’ho notato. Ma una
come te non conta, se ho uno stuolo di ragazze che farebbe la fila anche solo
per parlarmi”.
Apro
la bocca paralizzata, incapace di parlare. “Vorrei darti un pugno” affermo
prendendo il rullo e aprendo uno dei barattoli di vernice. “Sta’ attento,
Elliott. Non mi provocare”.
Ridacchia,
incrociando le braccia al petto e osservandomi mentre sistemo i fogli di
giornale lungo il battiscopa di ogni parete, per evitare schizzi di vernice sul
pavimento. “Mi ricorderò della tua minaccia, Crystal. E per giunta del fatto
che pratichi scherma e quindi sei pericolosa”.
Lo
guardo male. “Ti prego, non mi parlare. Anzi, visto che dobbiamo farlo insieme
questo lavoro, tu fai il lato di destra ed io quello sinistro, così non ci
incontriamo mai e siamo concentrati ognuno a fare qualcosa che non sia parlare”
dico e quasi lo imploro, perché non riesco più a tollerarlo.
Prendo
il mio iPod dalla borsa e mi ficco le cuffiette nelle orecchie, sparando ad
alto volume la musica dei Coldplay. E finalmente ritrovo un po’ di pace
interiore, catapultandomi nella dimensione in cui voglio essere, buttandomi
alle spalle Elliott e il suo ‘scusate, la gentilezza non è una mia priorità’.
Ma
chi si crede di essere?
Forse
si sente davvero Adone sceso dall’Olimpo, pronto a rubar cuori a tutte le
ragazze del liceo. Oh… Ho voglia di vomitare.
Peccato,
Amy la preside dovrà farmi fare il doppio del lavoro se imbratto l’aula dei
miei residui corporei.
Passo
il rullo sulle pareti, senza voltarmi neanche una volta a guardare Elliott,
perché penso che se mi volto finisco per annegare di nuovo nei suoi occhi e non
riuscire più a riemergere, neanche con un salvagente.
Penso
che passino almeno due ore e la mia parte è quasi completata. Ho già ascoltato
ben due album dei Coldplay e questo mi ha aiutato a ritrovare il sorriso. Il
bradipo che c’è in me sembra essersi estinto.
D’un
tratto il mio iPod si ferma sulla canzone Every teardrop in a waterfall,
che spesso ascolto a casa quando sono sola e devo preparare la cena per me e
Caleb. Mi è sempre piaciuta perché sembra darmi la carica giusta.
Distrattamente
inizio a cantarla ad alta voce e a muovermi a ritmo di musica.
BOOKTRAILER
Che cosa ne pensate?
Buone Letture,
Sembra davvero interessante, me lo segno! :)
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