4 gennaio 2016

Spotlight on... LE CRONACHE DI TESEO di Abraham Tiberius Wayne - COME LA CODA DELLE COMETE di Paola Garbarino

Cari Bookworms,
primo appuntamento dell'anno con la rubrica Spotlight on... nella quale vi presento romanzi di autori italiani emergenti o autopubblicati, accompagnando le informazioni sui libri con un piccolo estratto.

Il primo libro di cui vorrei parlarvi è LE CRONACHE DI TESEO di Abraham Tiberius Wayne, una raccolta di sei racconti fantasy per ragazzi, attraverso i quali l'autore rielabora il mito greco di Teseo.

Informazioni e trama


Titolo: Le Cronache di Teseo
Autore: Abraham Tiberius Wayne
Editore: Les Flaneurs Edizioni
Data di pubblicazione: 10 ottobre 2015
TRAMA: “Le Cronache di Teseo” è una serie di sei racconti brevi che descrivono il mitologico viaggio dell’eroe greco da Trezene ad Atene e il celeberrimo episodio che vede il figlio di Etra confrontarsi con il minotauro, il tutto riproposto in chiave fantasy. Elementi tipici e atipici del genere quali incantesimi, evocazioni, pozioni, creature fantastiche della mitologia greca, ebraica e del folklore italiano non alterano i connotati della struttura del mito greco: gli Dei, i loro capricci e i giochi di potere conservano sempre un ruolo predominante e il Fato continua a essere un’entità cui è inutile sottrarsi. Tuttavia, contrariamente al canonico eroe greco, il protagonista presentato in questa raccolta ha necessità di maturare come uomo e come guerriero per ogni fatica superata ed è questo il suo più grande punto di forza, nonché ciò che gli permette di valicare i limiti del tempo e dello spazio e di giungere fino al lettore del nostro secolo per toccarlo nel profondo. 
Il corteo avanzava lento nella nebbia. Teseo camminava col capo chino mentre aiutava altri tre uomini nel trasporto del defunto mentre le prefiche urlavano e si lamentavano.
Un passo dopo l’altro ci si avvicinava al sepolcro e i suonatori di flauto intonavano una malinconica nenia. La necropoli era deserta: appariva quasi distrutta, logorata dal tempo, consumata dai ricordi.
Quando gli fu ordinato, il figlio di Etra adagiò con cura il corpo avvolto in un sudario nella bara di terracotta mentre una donna eseguiva la libagione.
Ascoltò l’elogio funebre e volgendo lo sguardo altrove, la sua attenzione fu catturata da una seconda figura femminile, silenziosa e inquietante. Lo fissava con i suoi occhi bianchi privi di iride e pupille. Quando il sepolcro fu chiuso, il giovane stregone la raggiunse e, attorno a loro, ogni cosa rimase in silenzio. Anche il vento che muoveva i lunghi capelli del ragazzo, ammutolì.
«Se hai da parlarmi, donna, sii veloce».
«Teseo, figlio di Etra: ebbene, riconosci il mio volto?».
«No. Non l’ho mai veduto in vita mia».
«E mai avresti dovuto. Tuttavia sai che sono qui per portarti un messaggio. Sono Promeneia primo oracolo di Dodona» si presentò la donna.
«Non ti vidi mai perché tu non cammini più tra i vivi. Perché adesso vedo il tuo viso se ancora non abito l’Ade?».
«È solo questione di tempo. A meno che non ascolti le mie parole, giovane stregone, tu perirai prima che il carro di Apollo muoia e rinasca due volte».
«Quali altre sciagure mi attendono?» chiese lui amareggiato.
«Tu sei diretto ad Atene: la strada che hai scelto di percorrere attraversa la città di Megara ma, prima di arrivarvi, due calamità ne sorvegliano il sentiero. La prima è un mostro marino di forza e ferocia impareggiabili: Scirone il Leviatano, Signore delle creature che abitano i mari».
«Come ucciderlo?».
«Non puoi» rispose grave la donna. «Non è un dio ma ne condivide l’immortalità. È nato dalla pazzia di Chronos, prima che gli altri dei abitassero l’Olimpo».
«Come posso sfuggire alla sua furia?».
«Torna sui tuoi passi, Teseo. Raggiungi il Monte di Artemide. Lì, sul fianco baciato dal sole che muore, c’è una porta che conduce agli Inferi, non più osservata da Sini il Golem che tu hai distrutto. L’unica sua difesa è la Gigat Fea, una creatura mezza donna, mezzo caprone. Non sono i suoi colpi che devi temere, poiché sono ben poca cosa rispetto a ciò che hai già affrontato. Fa’ attenzione, piuttosto, a ciò che porta in cinta. La sua cintura vale la tua vita, figlio di Etra. Essa sostiene tre ampolle. La prima contiene un liquido azzurro, splendente come il cielo quando il Sole è alto, capace di ghiacciare i forni di Efesto. La seconda racchiude la pozione dell’invisibilità, grazie alla quale sarai un’ombra nella notte. L’ultima è la più terribile: è una piccola ampolla contenente un liquido nero e vischioso. La pozione viene chiamata “Ordine di Zeus” e permette di richiamare il potere di Atropo, la Moira che recide il filo della vita. Le ultime due, più la pozione di Asclepio che già possiedi, ti saranno vitali per affrontare Asterione in un futuro possibile. Ascolta le mie parole, Teseo: non danneggiare le fiale e usa la prima ampolla per fermare il Leviatano. Le altre pozioni ti garantirebbero una vittoria tanto facile adesso quanto veloce sarà la tua morte nelle prossime prove».
«Hai parlato di una sola minaccia lungo la via di Megara. Quale sarebbe la seconda?».
«Lui, Teseo, è un pericolo che devi temere anche di più della creatura immortale. È l’unico uomo capace di addomesticare il Leviatano, cui ha donato il suo nome affinché possa essere dimenticato. Scirone il brigante vive nell’ombra: nessuno lo ricorda e col passare degli anni pronunciando il suo nome ci si è riferito sempre di più unicamente al mostro marino. Non è un semplice ladrone: è un sadico, pericolosamente abile nella magia, che si diverte a dare i poveri passanti in pasto alla sua creatura lanciandoli dalla scogliera. Affinché tu viva non serve solo sconfiggerlo, ma anche affrontarlo ad armi pari, senza l’aiuto di pozioni. Lo stregone più potente guarderà le stelle ancora una volta, il più debole bagnerà con il proprio sangue la terra ellenica».
«Che interesse hai nell’aiutarmi?» chiese Teseo.
«Io sono solo la voce degli Dei, così in vita, così da morta. Il Dio del Sole e delle profezie mi manda a te, mostrandoti cosa egli ha visto con gli occhi del futuro. Questo è il tuo rito funebre, Teseo, e il corpo che trasportavi era il tuo».
«Non è possibile…» si ritrasse inorridito, «non ho riconosciuto nessuno tra i presenti. Chi si è occupato delle libagioni non era mia madre!».
«Non hai riconosciuto Etra solo perché chi muore perde ogni legame con il mondo dei vivi. Sacrifica la scrofa che hai catturato nei pressi di Crommione. Tributala ad Apollo ed egli ti accompagnerà in questa nuova avventura. Il mio tempo è giunto al capolinea. Spero per te che trascorreranno molti inverni prima del nostro prossimo incontro. Addio».
Quelle furono le ultime parole che Teseo udì prima di svegliarsi. Si mise in piedi scrutando l’orizzonte nella notte: Megara era a meno di due giorni di cammino ma tra lui e la città, in quel momento, vi era la morte certa. Non aveva alcuna scelta: guardò la scrofa che tranquilla dormiva legata a un albero ed estrasse il pugnale.

Il secondo romanzo che vi presento in questo post è COME LA CODA DELLE COMETE di Paola Garbarino, un romance new adult ambientato tra Genova e New York e costruito sull'alternarsi del duplice punto di vista di Lisa e Thorger.

Informazioni e Trama




Titolo: Come la Coda delle Comete
Autore:  Paola Garbarino
Autopubblicato
Data di pubblicazione: 21 novembre 2015

TRAMA: Lisa è una studentessa universitaria appena uscita da una lunga e travagliata storia d'amore. Thorger è uno studente erasmus, austriaco, che si fermerà in Italia soltanto pochi mesi. Le cose che non sanno l'uno dell'altra saranno quelle che li avvicineranno, ma, al tempo stesso, che rischieranno di dividerli. Lei ha un oscuro segreto; lui ne ha più di uno ed è una rockstar in incognito, con un fratello gemello che sembra avere tutte le intenzioni di conquistare Lisa per primo. 
Amore, equivoci ed eros si mischiano in una storia narrata a due voci.


- Thorger - 
“Riuscii a far svanire nel mio spirito tutta la speranza umana. Su ogni gioia per soffocarla ho fatto il balzo sordo della bestia feroce. Ho invocato i carnefici, per addentare, morendo, il calcio dei loro fucili.” (Arthur Rimbaud)

Non capivo dove finisse il mio corpo e iniziasse quello degli altri. Ero in mezzo a un mare di braccia e gambe. Non sapevo se le mani che mi stavano toccando appartenessero a un uomo o a una donna. Volevo ribellarmi, ma non riuscivo a muovere un muscolo.
La mia testa era da tempo che aveva smesso di essere lucida. Lo sapevo. Eppure, di colpo, mi sembrò di snebbiarmi, come se avessi avuto una cortina nel cervello e qualcuno l’avesse sollevata come si alza un sipario.
Avevo chiuso gli occhi da un po’, così mi sembrava, ma avrebbero potuto essere anche soltanto pochi secondi. Ero immobile, risucchiato mio malgrado nei movimenti degli altri.
I suoni diventarono insopportabili, quegli stessi suoni che mi avevano eccitato sino a poco prima, ma forse era ormai una vita fa e ancora non me n’ero accorto.
Volevo che smettessero!
Desideravo che tutto avesse fine!
Ma il ritmo era sempre più concitato.
Non m’importava più chi fosse con chi. Volevo solo che mi lasciassero stare.
Qualcuno mi baciò il tatuaggio sul torace. Una barba ispida mi punse: volevo vomitare! Lo desideravo con tutto me stesso.
Ma non riuscivo a muovere un muscolo, né a riaprire gli occhi!
Possibile che nessuno se ne accorgesse? Forse le candele erano ormai consumate e nessuno aveva voglia di alzarsi per accendere una luce. La mia passività stava probabilmente passando per resa incondizionata, come se mi stessi altamente godendo tutte quelle attenzioni, come se stessi semplicemente facendo passare un naturale periodo refrattario. Forse il punto era proprio questo, alla fine: non c’era attenzione, non c’era nulla! Eravamo vicini, ma distanti anni luce l’uno dagli altri!
Il mio corpo sprofondava nel materasso, ma era qualcosa di più, come continuare a cadere, come le sensazioni che si provano in sogno.
Cadevo.
Stavo cadendo da un’eternità.
Non riuscivo a ricordare la prima volta in cui avevo oltrepassato il limite!
La prima in cui il desiderio era divenuto dipendenza!
La prima in cui mi ero svenduto!
La prima in cui mi ero sporcato!
Non mi sembrava così, a quel tempo, di questo ne ero certo. Non che fossi inconsapevole, sapevo ciò che facevo, ma non mi sembrava grave, solo qualcosa di giovane e un po’ stupido. E cos’è la Giovinezza, senza una buona dose di stupidità, di follia, di avventatezza? Non vi sarebbe nulla di epico, di poetico, senza un po’ di sconsideratezza!
Ma adesso, cazzo, non c’era niente, nulla di ciò che pensavo epico e poetico! C’era dell’oro, ma era falso, bastava grattare la patina per scorgere il nero. Come mettere la sporcizia sotto a un bel tappeto. Ero diventato polvere, cenere. Ero a pezzi. Peggio, ero pulviscolo schifoso da spazzare via! L’avevo fatto con le mie stesse mani.
Quando era iniziato, esattamente? E come avevo potuto credere di reggere da solo?
D’improvviso ciò che stavo vivendo divenne talmente insopportabile che sarei stato disposto a qualunque cosa, purché tutto cadesse nell’oblio.
Cercai di muovere le dita. Niente!
Tentai di gridare, ma non mi sentivo nemmeno più la bocca.
Forse ero in overdose. In coma etilico. In entrambi!
Probabilmente stavo morendo, dopo una notte d’eccessi come quel musicista anni Settanta di cui non ricordavo il nome.
E, stranamente, questa prospettiva mi rasserenò: stavo morendo!
Perfetto, così non avrei nemmeno dovuto affrontare i miei problemi, le conseguenze dello stato in cui avevo ridotti il mio corpo e la mia anima!
Lasciavo ogni cosa, il Bello e il Brutto!
Non stavo più sprofondando: ero andato talmente sotto che ero caduto in qualche altra dimensione. Sapevo che gli occhi del mio corpo erano chiusi, ma adesso vedevo qualcuno disteso su una lettiga: era un bel corpo, una bella faccia, ma nulla di più. Non era niente: io non ero più lì!
Non stavo più cadendo, al contrario. Mi sentivo forte, libero come non ero mai stato. Mi muovevo velocissimo, alla velocità del mio pensiero, verso un chiarore che sembrava aspettarmi, qualcosa di caldo, pulito; non sapevo perché, mi fece venir voglia di piangere, di gioia!
Mi dispiaceva soltanto lasciare mio fratello.
Che cosa ne pensate? 

Buone Letture,

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